mercoledì 11 novembre 2020

FIDUCIA: LA VERA CURA PER USCIRE DALLA CRISI?


Il periodo che stiamo attraversando ci interroga ogni giorno su quali saranno gli scenari del prossimo futuro che ci ritroveremo a fronteggiare. Ci chiediamo quando usciremo dalla pandemia, quando ritorneremo alla normalità? 


Purtroppo questa grande incertezza sul futuro, questa difficoltà a progettare, a rilanciare in avanti potrebbe farci rassegnare all'immobilismo " in attesa che tutto passi".

Potremmo sentirci scoraggiati, impotenti, disillusi, in balìa di questa nuova ondata che, nonostante ci fosse stata in qualche modo prospettata, ci ha colti di sorpresa, forse ancora increduli rispetto a ciò che abbiamo attraversato nei mesi passati.
Questa crisi globale ci interroga, in generale, su chi vogliamo essere  e diventare, non soltanto come singoli, ma anche come comunità. Forse c'è un'altra possibilità che va oltre la rassegnazione, la rabbia, l'impotenza. Forse possiamo riflettere, anche a livello educativo, su alcuni punti saldi che proprio in un momento come questo diventano ancora più importanti.

Penso che come genitori e come professionisti che ci occupiamo delle nuove generazioni dobbiamo tenere a mente quanto conti il concetto di FIDUCIA.
Il tema è complesso  e va analizzato da diversi punti di vista.
  • Di cosa hanno bisogno i bambini per crescere?
Il bambino per crescere e separarsi ha bisogno di sviluppare un  legame di FIDUCIA con adulti di riferimento sui quali sa di poter contare, che sente che potranno comprenderlo e accettarlo per come è davvero
  • Come i bambini sviluppano il senso di fiducia in se stessi?
Con questo senso di fiducia profondo il bambino potrà sperimentare anche la fiducia in se stesso perchè, solo così, egli si sentirà libero di esplorare. Così facendo egli farà esperienza del mondo e, accettando anche  l'errore e la sconfitta, potrà pian piano percepirsi in grado di fare molte cose acquisendo un realistico senso di sè e del proprio valore che possiamo chiamare autostima.

Per comprendere meglio quanto la fiducia sia importante potremmo essere aiutati da un piccolo esercizio di riflessione.

Proviamo a pensare al nostro percorso di vita e identifichiamo chi sono le persone che hanno dimostrato di avere fiducia in noi e proviamo a identificare quali messaggi ci hanno lasciato.

Potremmo rimanere sorpresi dal costatare quanto questi messaggi ci abbiano influenzato in positivo rispetto alle nostre scelte di vita e quanto queste voci interne siano in noi ancora oggi presenti.
Questo può aiutarci a chiederci quali sono i messaggi di fiducia che vorremmo trasmettere ai nostri figli.

C'è ancora un altro piano da considerare: la fiducia non riguarda solo il rapporto con se stessi o i genitori, ma anche fiducia nel prossimo ( che dipende strettamente dalle altre due dimensioni).
Troppo spesso nell'ansia protettiva dei genitori può passare un messaggio di sfiducia e sospetto verso il prossimo e il mondo esterno che può generalizzarsi in sfiducia verso il futuro portando al blocco evolutivo.

Ciò di cui abbiamo veramente bisogno in un periodo storico come questo è invece un messaggio controcorrente di fiducia: fiducia nella scienza, nelle istituzioni, nell'altro, nella scuola. nella società, nella comunità. 
Solo così faremo prevalere la speranza e la solidarietà al sospetto, paura, paranoia, impotenza, rabbia e divisione sociale.
Non è un caso che una ricerca scientifica abbia indicato nella FIDUCIA NEL PROSSIMO una delle principali variabili che incidono nel rispetto delle norme anti-contagio: più si ha fiducia nel fatto che anche gli altri si impegneranno nel rispetto delle regole e meno facilmente ci si lascia andare al cosiddetto disimpegno morale, la tendenza a mettere in pausa la coscienza senza sentirsi in colpa.
Forse il disimpegno morale e la sfiducia sono virus ancora più pericolosi.

domenica 8 novembre 2020

SEPARAZIONE: LE TRAPPOLE DA EVITARE

 



La grande emergenza che ci attraversa non è solo un'emergenza sanitaria, ma anche sociale. Sebbene non siano disponibili ancora dati che confermino le nostre impressioni è indubbio che l'impatto sulle famiglie del lockdown e della gestione della situazione sia stato fortissimo. A questo impatto molte famiglie non hanno retto e alcune hanno messo in crisi i propri legami giungendo alla separazione. Sicuramente le fragilità erano già presenti, ma probabilmente la situazione non ha più consentito di non vederle e così si è giunti alla crisi del legame di coppia.


Ma vediamo meglio di delineare quali sono le trappole in cui è facile incappare soprattutto quando sono presenti figli minori.


Ciò che sappiamo da tempo è che la separazione di per sè non è la causa degli eventuali disagi e blocchi evolutivi dei figli, ma la conflittualità ad essa associata. Sembra un'affermazione banale, ma non è così: infatti essa ci dice che, laddove la separazione sia l'esito di un processo di riflessione degli adulti che si rendono conto che non ci sono più i presupposti per andare avanti come coppia, essa si trasforma in un evento simil-protettivo per i minori che avranno evitato di crescere in una famiglia in cui la coniugalità era solo un antico ricordo, o peggio, un legame portatore di sofferenza e conflitto.


1)Ecco la prima trappola da evitare "STIAMO INSIEME PER IL BENE DEI FIGLI": il bene dei figli è stare con genitori che hanno scelto di affrontare i problemi presenti, guardare in faccia la realtà e affrontare il cambiamento, anche doloroso. Il clima emotivo della famiglia è l'ambiente in cui i bambini imparano a conoscere e gestire le proprie emozioni. Ove vi sia un conflitto coniugale esplicito o implicito lo spazio di esplorazione e conoscenza di sè e dell'altro diventa inquinato, limitato, confuso.
Presa la decisione di separarsi spesso i genitori attraversano una fase di confusione nella quale sono preoccupati prima di tutto per i figli, faticano a trovare le parole, vorrebbero che non soffrissero.


2)Altra trappola da evitare: "I FIGLI NON DEVONO SOFFRIRE": è inevitabile che i figli provino sentimenti negativi, devono elaborare il cambiamento, comprendere come sarà da lì in poi la propria vita, realizzare che il genitore che andrà via di casa non sparirà dalla propria vita. In tutto ciò, quello che li aiuterà sarà trovare adulti disposti ad ascoltarli profondamente. Adulti in grado di non spaventarsi davanti alla sofferenza, che riusciranno a stare in ascolto senza farsi travolgere dai propri sensi di colpa, dalla propria rabbia, dal proprio senso di fallimento.
Infine c'è il tema del conflitto, se è vero che è la conflittualità l'elemento chiave che fa la differenza sull'impatto della separazione sui figli e anche vero che le separazioni dove, almeno in una fase iniziale, non sia presente sono davvero poche. Difficilmente i genitori arrivano alla decisione insieme avendo disinvestito nello stesso modo sul legame di coppia. Nella maggior parte dei casi ci sarà un membro della coppia che è più avanti nel percorso e all'altro spetterà il difficile compito di elaborare l'abbandono. Anche chi lascia porta dentro di sè grandi sofferenze, sensi di colpa inespressi che possono tradursi in rabbia e risentimento.
In tutta questa tempesta ci sono le questioni pratiche da gestire, la vita da riorganizzare, gli obiettivi di vita da rivedere... Spesso in questo caos emotivo trova terreno fertile il conflitto che quando è presente non si può nascondere. 

3)Ecco un'altra trappola da evitare: "SI' SONO FURIOSO/A, MA DAVANTI AI FIGLI NON LITIGO MAI E NE PARLO SEMPRE BENE (dell'altro genitore) .."
I figli siano essi bambini piccoli, preadolescenti o adolescenti sanno cosa stiamo provando, sia che lo esplicitiamo e sia che non lo esplicitiamo. Le nostre menti sono fatte per entrare in collegamento e sentire ciò che l'altro sente: si chiama empatia, sostenuta dal meccanismo dei neuroni specchio. I nostri figli hanno contato su questo meccanismo per imparare le cose più importanti della vita emozionale e sociale fin dalla loro nascita e fin da piccolissimi vengono contagiati dai nostri vissuti.
Più i bambini sono piccoli  più manca loro la possibilità di dare un significato a ciò che provano e più sentiranno confusi se non li aiutiamo a comprendere ciò che accade. Anche se il genitore starà attento a non esporre i figli a litigi rabbiosi ( atteggiamento protettivo assolutamente da mantenere), loro coglieranno anche il tono di voce delle chiamate, le espressioni non verbali quando si parla dell'altro genitore, i silenzi, le domande e osservazioni che vengono fatte. Coglieranno tutto questo e probabilmente ne soffriranno.
Nelle situazioni dove il conflitto è acceso i bambini facilmente si sentiranno all'interno di un conflitto di lealtà in cui, spesso anche contro ogni intenzione del genitore, sentiranno di tradire un genitore volendo bene all'altro e viceversa.


Al contrario il maggior fattore protettivo per i figli di genitori separati è la consapevolezza che il LEGAME CON CIASCUN GENITORE VA AVANTI  e deve andare avanti in modo sereno, nonostante l'interruzione del legame coniugale.
Come possono i genitori gestire tutto questo?
L'aspetto più importante è la gestione della propria sofferenza. La separazione va pensata come ad un lutto, un evento dirompente che segna una discontinuità. Da questo evento gli adulti devono rialzarsi e reinventare la propria vita. Questo evento metterà in discussione la loro identità, i loro obiettivi, i rapporti con la famiglia allargata, le risorse a disposizione (anche quelle economiche), le amicizie..ecc
Concedersi uno spazio per elaborare tutto questo, per cercare sostegno da chi ha esperienze simili, ma anche diverse, può aiutare a sviluppare le proprie risorse e non riversare la propria emotività nel rapporto con i figli che hanno, invece, bisogno di genitori che li sostengano e li vedano nei loro reali bisogni.

mercoledì 5 agosto 2020

Sportello online per la gestione della separazione e del conflitto

 

Stai vivendo un periodo di crisi con tuo compagno/a? Parlate ma non vi capite?

I tuoi suoceri si mettono in mezzo fra te e il tuo compagno/a?

Stai pensando di separarti e non sai come parlarne ai tuoi figli?

Sei separato ormai da un po' e fatichi nella relazione con i tuoi figli?

Non sei convinto che ai tuoi figli faccia bene frequentare la nuova compagna/o del tuo ex marito/moglie?

Non riesci a trovare un accordo sulle scelte educative che riguardano i tuoi figli con il tuo ex compagno/a?

Queste sono solo alcune delle domande che chi vive una situazione di crisi in famiglia si pone. Domande che creano ansia, malessere e disorientamento, alle quali è necessario porre attenzione.  I conflitti e le incomprensioni che viviamo in famiglia, se non visti e non riconosciuti, possono esasperarsi e portare nel tempo, quasi senza che ce ne rendiamo conto, alla rottura dei legami più cari.

Per questo motivo abbiamo pensato di aprire uno SPORTELLO ONLINE GRATUITO PER LA GESTIONE DELLA SEPARAZIONE E DEL CONFLITTO IN FAMIGLIA.

 

COME FUNZIONA?

1. 

2.     scrivi una mail a: conflittoinfamiglia@gmail.com con oggetto la dicitura “richiesta di consulenza gratuita online” e descrivi nel modo più dettagliato possibile la situazione che stai vivendo, quali dubbi hai, di cosa pensi di avere bisogno

3.      allega il modulo privacy firmato

4.      invia la email

A seguito della richiesta ti invieremo la nostra consulenza.

 

PERCHE’ PUO’ ESSERE UTILE?

·       ti forniremo in modo personalizzato una consulenza al fine di valutare quali strade sia meglio percorrere, quali strategie mettere in atto per risolvere il tuo problema, quali questioni andrebbero approfondite e a chi potresti rivolgere

 

DA CHI E’ GESTITO LO SPORTELLO

DOTT.SSA MICHELA REBUCCI: Counsellor e Mediatrice familiare sistemico relazionale. Per approfondimenti clicca qui

DOTT.SSA RITA FERRARI: Psicologa, psicoterapeuta sistemico relazionale.  Per approfondimenti clicca qui

Per maggiori informazioni clicca qui


sabato 23 maggio 2020

Il concetto di rischio e quello di pericolo: Come riacquisteremo il senso di sicurezza?



“E alla fine arriva Polly” è una commedia comica a cui mi è capitato di pensare in questi giorni. Nel film Reuben Feffer, interpretato da Ben Stiller, è un agente assicurativo abituato a calcolare e ponderare i rischi di ciascuna decisione che si innamora di Polly una ragazza decisamente fuori dai suoi schemi. In una scena celebre Reuben immette nel suo programma sul calcolo dei rischi, il Risk Master, tutti i dati di Polly e quelli della sua ex pronta a tornare con lui e chiede di fare un sondaggio per stabilire quale sia la relazione più sicura. Il programma valuta la relazione con la sua ex come quella più sicura, ma, dopo una serie di vicissitudini, Reuben, sceglierà la relazione più rischiosa.

Il film con la sua comicità mette in scena una questione che riguarda l’uomo e in particolare l’uomo moderno: come ci comportiamo quando prendiamo decisioni che riguardano l’assunzione dei rischi? È giusto ricorrere ad un approccio razionale? Potremmo vivere seguendo solo questo criterio?

La ricerca psicologica si è occupata a lungo dei processi decisionali e dell’assunzione dei rischi e, sebbene abbia considerato per lungo tempo modelli cognitivi che hanno preso in considerazione solo meccanismi razionali (costi, benefici, anticipazione di scenari..), si è successivamente reso evidente che l’uomo non è un decisore puramente razionale. Lo sforzo cognitivo per prendere una decisione è spesso troppo oneroso e la mente umana utilizza scorciatoie, strategie più economiche per elaborare i dati a disposizione. Questo fa sì che eserciti una forte influenza sulla percezione di rischio il modo in cui vengono comunicati i dati, lo stato d’animo in cui si trova la persona che li riceve, le esperienze personali che questi dati evocano, le immagini che esse attivano, le sensazioni viscerali che stimolano. Questa nostra altra modalità di funzionamento (fatta di corpo, immagini, ricordi più o meno consapevoli) è una grande parte di noi che dobbiamo tenere ben presente.

Rispetto alla situazione che stiamo vivendo possiamo dire di essere stati attivati in maniera significativa da dati epidemiologici, curve di contagio, statistiche e modelli matematici come mai prima d’ora. Ciò che maggiormente ha colpito la parte meno razionale di noi sono stati i numeri dei morti, le immagini di quanto è accaduto, le frasi dei virologi che titolavano gli articoli in circolazione. Tutto questo è stato ed è ancora un vero e proprio bombardamento da cui ciascuno si è difeso come ha potuto.
Semplificando di molto la questione si potrebbe dire che due strategie di difesa estreme e pericolose potrebbero essere queste:
  1.  Sentirsi sopraffatti da tutto ciò e avere un approccio negazionista: “E’ tutto passato, hanno anche un po’ esagerato, adesso basta”. Negare il pericolo e i rischi che da esso ne sorgono. Dare un bel colpo di spugna a ciò che è stato, non pensarci troppo e andare avanti come se nulla fosse.
  2. Sentirsi ugualmente sopraffatti e farsi bloccare dalla paura: “ Hanno detto che si possono fare alcune cose, ma io non mi fido. Meglio stare immobili, il pericolo è dappertutto, non siamo sicuri”. Questa paura, fisiologica per molti versi, non è pericolosa solo in quanto non permette di affrontare il pericolo e dunque anche la vita, ma anche perché va a ledere quel senso di fiducia importante e profondo che dovremmo continuare a coltivare, soprattutto in questo momento, verso l’altro, la comunità e le istituzioni.


Ma vediamo di comprendere meglio questo concetto di rischio e i modi per affrontarlo.
Sempre la ricerca psicosociale ci segnala un paradosso da tenere presente: sebbene lo scenario moderno sia uno scenario molto più controllato a livello di rischi (pensiamo ad esempio a quanti rischi si correvano nel passato soltanto andando a lavorare in certi contesti), la percezione delle persone sul rischio è che sia più pericoloso il mondo di oggi che quello di un tempo.

Abbiamo forse perso la nostra capacità di rischiare?

Di sicuro non è una novità che il mondo dei genitori, ad esempio, faccia molta più fatica a tollerare e gestire le proprie angosce circa il futuro e ciò che è fuori controllo rispetto alla vita dei propri figli.
Le adolescenze, ad esempio, sono sempre più vissute all’interno delle mura domestiche (e non solo in quarantena), in uno scenario in cui ciò che riesce (e solo a volte) a sfuggire al controllo è virtuale.

Di certo la mancanza di rischio equivale a mancanza di vita e questo non dobbiamo dimenticarlo.
Il progresso scientifico ci offre comunque delle possibilità innumerevoli rispetto al passato per correre rischi controllati.
La pandemia ci ha messo di fronte al fatto che nonostante tutto non siamo onnipotenti e non potremo mai controllare tutto e questo ci ha destabilizzati, ma ci ha anche restituito il senso del limite che non avremmo mai dovuto perdere.

E allora come possiamo affrontare la ripartenza? Come possiamo uscire dal nostro guscio e convivere con il virus?

La risposta è semplice: correndo rischi calcolati, o meglio CONSAPEVOLI.

La consapevolezza è una lente attraverso la quale scegliere anche le informazioni da ricercare. Spesso diventiamo bulimici di informazioni inutili che ci invadono e che aumentano la nostra ansia invece di placarla. Non dobbiamo cercare di diventare tutti virologi, epidemiologi, infettivologi.. Quello che ci serve è comprendere quali sono i comportamenti che possono aiutarci a correre meno rischi, ben consapevoli che il rischio non può essere totalmente evitato.

Ho trovato molto utili quelle risorse che hanno utilizzato canali analogici per trasferire informazioni importanti, ovvero le cosiddette infografiche o i video che sono stati in grado di mostrare visivamente quali possono essere le modalità di contagio. Le ho trovate utili per la loro capacità di creare immagini mentali in grado di influenzare i comportamenti più delle semplici parole.

Questo è ciò che possiamo fare a livello pratico e, facendolo, potremo pian piano fare nostri nuovi gesti e modalità dello stare in relazione che ci daranno la sicurezza necessaria per riprendere in mano le nostre vite, anche quelle relazionali.

Ecco alcune risorse che ho trovato utili:


martedì 12 maggio 2020

TI CONOSCO MASCHERINA: come i bambini si confrontano con questo presidio..

Immagine tratta da maestraemamma.it


Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta esperto in età evolutiva, ha regalato a tutti noi questa filastrocca come stimolo per aiutare a rielaborare questo presidio per i bambini.

Pellai è stato molto apprezzato per il suo contributo, ma anche aspramente criticato da coloro a cui non è piaciuta la disinvoltura con cui ha promosso questa misura di sicurezza sui bambini. In realtà Pellai ha semplicemente cercato di aiutare genitori e bambini ad adeguarsi a quello che per i bambini al di sopra dei 6 anni è una misura obbligatoria per limitare la diffusione del virus (dai 2 ai 6 anni è a discrezione del genitore, controindicata sotto i 2). Nessuno potrebbe davvero pensare che la mascherina sia ideale per i bambini e che non abbia nessun impatto sul loro modo di relazionarsi all’altro, in particolare all’adulto, sul loro modo di giocare ed esplorare l’ambiente. Sta di fatto che ad oggi la mascherina oltre ad essere una prescrizione di legge è anche una delle misure più efficaci per limitare il contagio.

Anche il tema mascherina può comunque essere occasione per diventare ancora più consapevoli dell’importanza del contatto viso a viso in età evolutiva e non solo.
Proponiamo una interessante riflessione di Valeria Voli, psicomotricista e insegnante di Massaggio AIMI, rispetto a questo tema.
“Ultimamente mi è capitato con diverse mamme di dovere affrontare l'argomento "mascherina" dal punto di vista dei bambini. 

Il dato oggettivo è che i bambini tollerano e rielaborano questo presidio in maniera personale e differente. A seconda dell'età, del temperamento, delle circostanze familiari, e di molte altre variabili. 

Ciò che rimane, tuttavia, come minimo comune denominatore, è che la mascherina copre una parte del volto. 

Ci siamo domandati cosa significa questo nella relazione? Ci siamo domandati quanto sia difficile per un bambino accettare di portare la mascherina, e di entrare in contatto con adulti e bambini che portano la Mascherina? 

Proviamo a ragionare. 

Questo presidio lascia scoperti gli occhi e poco altro del volto delle persone. Ciò significa che la grandissima parte di muscoli facciali preposti alla comunicazione non verbale del nostro stato d'animo viene occultata. Se pensiamo dunque a ciò che nell'immaginario collettivo viene riconosciuto come inquietante, non faremo fatica ad individuare quei personaggi delle fiabe che spesso spaventano i bambini: fantasmi, banditi, pirati con la benda sull'occhio, ladri con il passamontagna... Tutti personaggi che in qualche modo celano parti del viso. 

La maschera d'altronde è sempre stato un escamotage anche nel mondo classico, nell'ambito teatrale, per interpretare una parte e celare la propria identità. Si nascondeva il "prosopon" Ovvero il volto, l'aspetto della persona. 

Proviamo ora a immaginare ciò che accade nei primissimi mesi della vita del bambino dopo la nascita. Lo sguardo della mamma e del papà, dei fratelli e dei famigliari, diviene sempre più decifrabile, più conosciuto e rassicurante proprio grazie al fatto che il cervello del bambino (e quello delle persone che si prendono cura di lui) riesce a codificare tutte le espressioni del volto dell'altro, a partire dall'integrazione di ciò che "dice" lo sguardo e ciò che "dice" Il resto del viso (mediante i numerosissimi muscoli d'espressione). 

Cosa possiamo quindi dedurre da questa beve riflessione? Possiamo intuire quanto sia profonda la difficoltà per i bambini (soprattutto i più piccoli, soprattutto laddove ancora il canale della verbalizzazione ed espressione delle proprie emozioni sia ancora in via di sviluppo o immaturo) di accettare queste nuove misure, questa barriera che impedisce di conoscere, scrutare, vedere, osservare e decifrare il volto dell'altro. Proviamo a immaginare quanto sia difficile giocare, divertirsi e imparare senza vedere il sorriso dell'altra persona (coetanei, amici di giochi, terapisti, insegnanti...). 

Interroghiamoci anche su questo, e forse troveremo nuove vie per sostenere i nostri bambini nelle nuove sfide che queste circostanze ci impongono”

Augurandoci che questa restrizione possa finire al più presto proviamo ad immaginare in quali modi la mascherina possa essere introdotta al bambino laddove sia obbligatoria o necessaria per limitare situazioni potenzialmente pericolose come i luoghi affollati.

GRADUALITA’: facciamo indossare la mascherina in casa, lasciamo che il bambino si guardi allo specchio, fotografiamolo e osserviamo con lui cosa copre e cosa lascia scoperto. Lasciamo che si abitui a portarla prima in casa e per periodi limitati di tempo e poi per brevi passeggiate, aumentando gradualmente i tempi.

TRASFORMIAMOLA IN UN GIOCO: i bambini rielaborano e comprendono le situazioni attraverso il gioco. A cosa serve la mascherina? A proteggerci dalla diffusione del virus. Se pensiamo con la mente del bambino possiamo paragonare la mascherina ad uno scudo protettivo. Costruiamo con lui una narrazione che abbia senso e che lo aiuti a comprendere a cosa serve utilizzando le sue immagini mentali. Carichiamo l’oggetto di accezioni positive come forza, coraggio, potenza..

DECORIAMOLA INSIEME: scegliamo insieme a lui immagini di personaggi preferiti e decoriamola, personalizziamola insieme al bambino

COINVOLGIAMO IL BAMBINO NELLA COMPRENSIONE DEL CRITERIO IN BASE AL QUALE METTERLA: cerchiamo di spiegare al bambino che la mascherina ci serve quando siamo in contatto con le persone, quando non riusciamo a stare distanti, ma concediamogli di toglierla quando siamo in una strada deserta o quando non ci sono rischi di contatti ravvicinati.

TRASMETTIAMO AL BAMBINO L’IMPORTANZA DI SEGUIRE LA REGOLA: possiamo anche condividere con il bambino il disagio dell’indossare la mascherina, ma è importante che gli facciamo capire che per il bene di tutti ci sono delle regole che vanno seguite anche se non ci piacciono. Fondamentale è quindi dare il buon esempio.

I bambini, come spesso accade, introiettata in modo corretto una regola, diventano più bravi di noi a rispettarla e ci faranno notare quando non lo faremo. Come sempre abbiamo molto da imparare.




martedì 5 maggio 2020

Il lutto nei bambini ai tempi del Coronavirus


Come vivono i bambini i lutti? E in questo momento storico cosa cambia? Come possono i genitori accompagnare i propri figli nel vivere la morte di una persona cara?



Le domande che i genitori rivolgono ai professionisti riguardano spesso il cosa dire ai bambini rispetto alla perdita di una persona cara.
Come genitori, infatti, ci preoccupa poter turbare il benessere del bambino mettendolo davanti ad una situazione più grande di lui che provocherà angosce da cui sarà difficile proteggerlo.

Il primo istinto che potremmo avere è quello di non comunicare subito quanto sta accadendo.  Quando la morte non arriva all'improvviso, ma può essere in qualche modo anticipata nel pensiero degli adulti, spesso non viene invece anticipata come possibilità ai bambini ai quali vengono fornite false rassicurazioni ("La nonna è all'ospedale, ma guarirà" ).
 In realtà sappiamo che avere il tempo di godere del cosiddetto lutto anticipatorio si rivela una risorsa nell'elaborazione del lutto: in questo modo il pensiero e le emozioni hanno più tempo per metabolizzare quanto sta accadendo e prendersi cura del caro che se ne sta andando, poterlo salutare, accompagnare si rivelerà molto importante per quello che accadrà dopo. Questo è vero sia per grandi che per piccini con un accompagnamento e una presenza che differisce in base all'età e alla sensibilità del bambino.
Questo primo punto è importante in quanto il Coronavirus ha reso difficile questo primo passaggio, non solo perchè in molti casi ha un decorso così veloce da non concedere il tempo necessario per comprendere, ma anche perchè i malati si sono trovati soli negli ospedali con i famigliari a casa ad attendere aggiornamenti quotidiani che potevano essere solo telefonici. E' evidente che questo senso di solitudine è il primo e principale trauma che il Coronavirus ha provocato.

Cosa si può fare dunque? Per i bambini, ma anche per gli adulti, è stato importante poter portare qualcosa al proprio caro da lasciare con lui: un oggetto, una foto, una coperta.. Si è compreso come questo passaggio simbolico potesse essere un gesto di cura necessario e utile.

Inquadrando il discorso in modo più ampio possiamo dire che la situazione attuale abbia sovraesposto i bambini al concetto di morte. Questo è vero sia per chi, purtroppo, più o meno direttamente ha subito una perdita, sia per gli altri in quanto ci si è ritrovati quotidianamente a fare i conti con bollettini dei decessi e immagini che difficilmente dimenticheremo (prima tra tutte l'immagine delle bare trasportate dall'esercito). 
Il vero problema però non è solo questa sovraesposizione, ma il rapporto dell'uomo moderno con la morte. Di fatto abbiamo escluso il concetto di morte dalla narrazione sulla vita. Ovvero nel nostro mondo il concetto di morte è diventato un taboo: i nostri antenati avevano un rapporto diverso con la morte, la vivevano come parte della vita.  Il progresso scientifico, l'aumento dell'età della vita media, il diminuire del tasso di mortalità infantile hanno allontanato il concetto di morte da quello della vita. Hanno contribuito a creare un'illusione di immortalità, quando la morte, in realtà, come confine e limite dà essa stessa significato alla vita.  Oggi persino la parola "morte" non viene spesso pronunciata a favore di altre espressioni ("se n'è andato, è venuto a mancare, non è più con noi"), questo contribuisce a rendere difficile condividere con il bambino l'evento luttuoso.

Si dovrebbe cercare di rendere il discorso morte parte del linguaggio quotidiano, non esponendo il bambino a immagini e programmi che parlano in modo violento e disorganizzato di morte, ma aprendo una comunicazione con lui, accogliendo le sue domande, costruendo e accompagnandolo verso una comprensione graduale di cosa sia la morte e come si affrontano le perdite.
Proprio per questo si sta parlando in molti campi  di educazione alla morte considerando questa come un'azione preventiva importante per dare al bambino  qualche strumento in più per affrontare situazioni che possono coinvolgerlo più o meno direttamente. Se si è agito in questo senso prima dell'evento luttuoso in sé, il bambino può contare su un repertorio narrativo e concettuale che gli verrà sicuramente in aiuto. Ma come fare questa educazione alla morte?

1. Prendere spunto da ciò che accade nella vita quotidiana
La morte può far parte della quotidianità del bambino nel senso che può accadere che al bambino si presentino situazioni in cui è presente la morte: pensiamo ad esempio all'incontrare un uccellino morto per strada, oppure a situazioni in cui muoia un animale domestico. Poter parlare spiegando in modo molto semplice, partendo da ciò che il bambino può osservare, in cosa consista la morte può essere utile. "Vedi, l'uccellino non respira più, non si muove.. sembra che stia dormendo, ma non è così". Spiegare anche cosa accade al corpo quando non c'è più vita aiuta a dare una prima dimensione realistica del concetto.
A volte può anche avere senso partire da ciò che vive più frequentemente il bambino a cui può capitare, ad esempio, che si rompa un giocattolo che non si può aggiustare. "I dottori spesso riescono ad aggiustare ciò che si rompe nel corpo delle persone, ma a volte non ci riescono".

2 . Accogliere e rispondere alle domande del bambino
A seconda delle età i bambini possono porre domande diverse. Quando sono più piccoli di sei anni non hanno ancora le strutture mentali per comprendere il concetto di morte come situazione irreversibile per cui capita che facciano domande in cui è implicito il concetto che la persona morta poi ritornerà. In questi casi accompagniamo il bambino nella comprensione, rispettando questo suo limite legato all'età.
I più grandini, invece, potrebbero porre molte domande su aspetti concreti che potremmo definire, dal punto di vista adulto, macabri e che potrebbero anche disturbarci. Dobbiamo invece cercare di essere accoglienti e ristrutturare le loro domande cercando di dare risposta i loro reali bisogni. ("Vedo che sei interessato a questi aspetti medici, vediamo un po' di capire cosa vuoi sapere).

3. Parlare al bambino degli antenati che non ha conosciuto
E' importante parlare dei familiari che non ci sono più perchè fanno parte della famiglia e  introducono la possibilità del passaggio alla morte e il concetto che questo evento non cancella la relazione e il legame che si è avuto con le persone che non ci sono più.

4. Spiegare al bambino cos'è il cimitero e valutare l'opportunità di portarlo con sè
La credenza per cui i bambini non vadano portati al cimitero è errata. I cimiteri sono un luogo di cura del ricordo del defunto e a questo ricordo è opportuno che partecipino anche i bambini. Se il bambino non è mai stato portato al cimitero è necessario spiegargli cosa troverà lì in modo molto semplice e concreto così che non sviluppi fantasie angoscianti. ("E' un posto dove si va ricordare le persone morte perchè vengono tenuti lì i loro corpi. Non si vedono nè i corpi e nè le bare, ma tante lapidi con le foto delle persone e le date in cui sono nati e morti. Vicino alla lapide si possono lasciare fiori o ricordi per la persona morta" , anche mostrare immagini di cosa sia il cimitero è utile mentre lo si spiega a parole). Naturalmente va sempre valutato qual'è il nostro rapporto con il cimitero, non per tutti la visita al cimitero ha la stessa valenza, ci sono persone che hanno altre modalità per curare il ricordo dei defunti.

5. Non escludere ma coinvolgere il bambino nei propri rituali di ricordo dei defunti:
Per qualcuno può essere più importante visitare un luogo particolarmente significativo o conservare un oggetto. Anche in questi casi spiegare al bambino di cosa si tratta e che significato ha per sè è importante. (es: "Guarda questo ventaglio era della mia nonna, mi piace andarlo a prendere ogni tanto perchè mi ricorda lei")

6. Condividere con il bambino le proprie credenze spirituali accogliendo anche i suoi dubbi o le sue perplessità
L'argomento morte ci mette in contatto in modo più forte con la nostra spiritualità e le credenze spirituali spesso ci vengono in soccorso per dare significato alla morte. Condividere ciò in cui crediamo, lasciando spazio al bambino, si dimostra essere un momento di crescita importante per entrambi.

Questo è quello che possiamo fare a livello preventivo, ma quando poi l'evento accade cosa facciamo?
COME COMUNICARE AL BAMBINO SULLA MORTE DI UN CARO

1 Essere sinceri
Il nostro rapporto di fiducia è la maggior risorsa per il bambino che deve affrontare un lutto. Non diciamo bugie.

2 Attenzione agli eufemismi e metafore
Spesso per non essere troppo crudi tendiamo ad usare metafore confusive " Il nonno se n' è andato" "è partito per un lungo viaggio"" si è addormentato". Queste comunicazioni confondono e alimentano nel bambino la speranza del ritorno. Dobbiamo cercare di non aver paura della parola Morte, che spesso spaventa più noi che i bambini.
Molti dicono " la nonna è andata in cielo", in questo caso c'è un richiamo alle proprie credenze religiose e questo va bene, ma bisogna sempre tenere alta l'attenzione su cosa ha compreso il bambino. Nel caso si renda evidente che il bambino è confuso con domande come "ma in cielo dove?", "ma se prendiamo l'aereo la vediamo?" allora è meglio dire:" A me piace pensare che chi muore è come se andasse in cielo e da lì ci guarda e ci protegge".
Anche questo senso di presenza e protezione deve essere vissuto dal bambino come sollievo e consolazione, non come presenza intrusiva e angosciante. Nel caso ciò accada meglio parlarne con il bambino per liberarlo da questo senso oppressivo di angoscia. Non sempre ciò che consola gli adulti consola anche i bambini.


3 Rispondiamo alle sue domande
Questa parte è la più importante in quanto nella nostra comunicazione saranno fondamentali i feedback che riceviamo. Solo così potremo capire cosa ha capito e cosa ha bisogno di sapere. Nel caso di bambini più grandi non devono stupirci o preoccuparci domande o considerazioni che potremmo considerare poco sensibili o inappropriate o irriverenti perchè clowneschi. Si tratta di atteggiamenti che il bambino può assumere per difendersi dal dolore, perchè non è ancora pronto ad viverlo, ma ne comprende la portata più di un bambino piccolo. Anche in questo caso non cadiamo nelle provocazioni, ma proviamo a riformulare la sua domanda cogliendo la parte accoglibile e facendo sentire il bambino capito ("So che è difficile affrontare questi argomenti, non vorremmo mai sentirci così, allora magari esageriamo un po' per mandare via quelle brutte sensazioni, capita anche a me di fare così")

4 Attenzione alle colpe
Il bambino nel suo egocentrismo potrebbe tendere ad attribuirsi delle colpe. "Ho fatto stare male io il nonno perchè l'ultima volta che ci siamo visti l'ho fatto arrabbiare", è importante scovare questo tipo di pensieri e smentirli categoricamente. Sono anche da evitare quelle spiegazioni che nel cercare di dare un senso alla morte (soprattutto se si tratta di una persona giovane) attribuiscono una responsabilità a Dio o agli angeli. ("Era talmente buono che il Signore ha mandato il suo angioletto a prenderlo"). Sono messaggi che potrebbero essere controproducenti perchè il bambino potrebbe arrabbiarsi con Dio ( che quindi non potrebbe essere fonte di consolazione)o pensare  che "essere buoni" è pericoloso.

5 Rispettiamo i suoi tempi
Ogni bambino ha i suoi tempi e le sue difese. Non bisogna mai forzare la conversazione con il bambino, ma stare con lui mentre prova le sue emozioni. Se non fa domande ed evita l'argomento non insistiamo. Rimaniamo attenti a cogliere i momenti più opportuni in cui il bambino sarà pronto a parlarne.

6 Prendiamoci cura del nostro lutto
Questa è l'ultima regola, ma dovrebbe essere la prima. Quando gli adulti riescono ad affrontate il proprio lutto i bambini riescono loro volta ed andare avanti, spesso meglio degli adulti. Il lutto è composto da diverse fasi che molti studiosi hanno concettualizzato. Spesso si passa da una fase di negazione incredulità (che può durare anche due-tre settimane) ad una in cui emergono emozioni di rabbia, confusione, angoscia per passare poi ad una fase in cui si viene a patti con quanto è accaduto e lo si accetta ristrutturando e trasformando se stessi e la propria vita oltre la perdita. Non si tratta ovviamente di fasi rigide, ma di emozioni che possono sovrapporsi: un percorso fatto di avanzamenti e arretramenti che, negli adulti, può durare fisiologicamente anche due anni.

LE REAZIONI DEI BAMBINI

I bambini solitamente rispondono al lutto con il loro modo di reagire al dolore che può differire, soprattutto se piccoli, da quello degli adulti.
Distinguiamo comportamenti esternalizzanti: quelli in cui è come se il dolore fosse "buttato all'esterno", da quelli internalizzanti: quelli in cui è come se il dolore esplodesse dentro.
Sono comportamenti del primo tipo i pianti frequenti ed immotivati, reazioni anche fisiche di rabbia, aggressività, difficoltà a calmarsi, opposizione, negativismo..
I comportamenti internalizzanti sono a volte meno "rumorosi", ma non meno pericolosi perchè possono passare inosservati. Ad esempio somatizzazioni, disturbi dell'attenzione, ansia, mancanza di energia, ritiro sociale. I più grandi potrebbero sentirsi anche privi di emozioni.
Facilmente i bambini possono perdere autonomie, tornare a farsi la pipì addosso,  tornare nel lettone e necessitare della presenza dell'adulto,  ovvero mostrare ansia da separazione ( il timore di perdere la propria figura di attaccamento, paura e rifiuto di rimanere soli).
Non dobbiamo dimenticare che questo star male è fisiologico ed è normale che in qualche misura il bambino lo esprima.
Un criterio per comprendere se il bambino ha bisogno di aiuto è osservare che i comportamenti persistono e il dolore non trova altre forme per venire fuori.

COME LI AIUTIAMO?

Come possiamo quindi accogliere e accompagnare i bambini in questo passaggio?
L'ultimo saluto
E' importante che il bambino possa trovare il modo di salutare la persona amata. Spesso si consiglia di consentirgli di partecipare al funerale preparandolo adeguatamente circa ciò che accadrà e il fatto che ci saranno tante persone tristi che forse piangeranno perchè sentiranno la mancanza della persona.
I funerali, come rito partecipato di espressione e condivisione del dolore, hanno la funzione di segnare un passaggio dando una struttura, un contenimento al dolore disorganizzato.
Una delle conseguenze negative del periodo storico che viviamo è che per un certo periodo non è stato nemmeno possibile partecipare a questo passaggio che facilita l'elaborazione del lutto in quanto favorisce anche l'uscita dalla fase di incredulità prendendo coscienza collettiva di quanto è avvenuto.


Creare rituali per tenere vivo il ricordo
Più a lungo periodo può essere utile creare rituali personali per mantenere vivo il ricordo del defunto. Ad esempio si potrebbe proporre al bambino di piantare una pianta in giardino che ricordi il nonno, costruire una scatola dei ricordi in cui pensare ai momenti belli vissuti. Questa parte di ricordo positivo del defunto è un fase importante perchè ci segnala che, purchè la perdita rimane sempre una ferita, chi se n'è andato rimane sempre anche un po' con noi.

Infondiamo speranza, pur essendo realistici
La morte di una persona cara spesso scatena nel bambino tutta una serie di altri timori che riguardano la morte in generale e più in particolare la morte dei genitori. Ad esempio un bambino potrebbe dire: "Ma se è morta la mamma del mio amico allora potresti morire anche tu?". Facilmente si potrebbe essere tentati dal dare rassicurazioni assolute ma poco veritiere. Dobbiamo invece cercare di dire la verità pur facendo sentire il bambino sicuro di mettere in atto tutto ciò che si può fare per prendersi cura di sè.

Ricordiamo che il lutto non si supera una volta per tutte ma viene rielaborato in modo diverso in fasi diverse della vita
A volte i bambini potrebbero sembrarci sereni e poi improvvisamente ripiombare nell'angoscia e nella paura nominando un lutto che consideravamo superato. Non dimentichiamo che il confrontarci con la morte è un tema dominante di tutta la nostra vita e man mano che il bambino cresce avrà più strumenti e più domande da porci e da porre a se stesso: stiamo con i suoi quesiti e accompagniamolo a crescere.

Per concludere vorrei utilizzare le parole di J. Bratner ascoltate recentemente in una formazione svolta dalla Dott.ssa Gollo che ringrazio per gli stimoli dati.

"Soltanto coloro che evitano l’amore
possono evitare il dolore del lutto.
L’importante e’ crescere,
attraverso il lutto e restare
vulnerabili all’amore"
(J.Bratner)
Infine un link di una interessante bibliografia da Percorsi Formativi 0-6  per parlare con i bambini della morte.
Grazie anche a loro per le riflessioni offerte sul tema.

domenica 19 aprile 2020

DEPRIVAZIONE SOCIALE: NUOVE EMERGENZE?



Ci sono esperimenti nella storia della psicologia che sono diventati celebri e che oggi per ragioni etiche non sarebbero ripetibili. Uno di questi è l’esperimento di Harlow che per testare le teorie di Bowlby sull’attaccamento aveva separato i macachi cuccioli dalle loro madri. Egli aveva osservato il loro comportamento in isolamento in compagnia di un biberon che erogava latte e/o di una mamma-pupazzo che non dava nutrimento, ma simulava la possibilità di ricevere “calore emotivo”. I risultati indicarono come i cuccioli preferissero passare il tempo attaccati alla mamma pupazzo piuttosto che attaccati al biberon. Morale: abbiamo bisogno di relazione per sopravvivere.

Questo filone di studi si è concentrato anche sui comportamenti che tendevano a manifestare i macachi in isolamento.
I comportamenti anomali rientravano nelle seguenti aree:
·       MOVIMENTI STEREOTIPATI: ondeggiare, girare intorno, movimenti ritmici grosso-motori..
·       COMPORAMENTI SOCIALI ANOMALI: paura, ritiro, mancanza di gioco, apatia e indifferenza verso stimoli esterni, carenze comunicative e aggressività
·       COMPORTAMENTI ANOMALI DIRETTI AL SE’ : fissazioni orali, autolesionismo, autoerotismo
·       COMPORTAMENTI RIPRODUTTIVI ANOMALI
·       COMPORTAMENTI MATERNI ANOMALI: da adulte le madri si disinteressano dei cuccioli o diventano abusanti nei loro confronti
La deprivazione sociale porta a sviluppare tutta una serie di conseguenze durature nel comportamento sociale, emotivo e non solo.

Certo ciò che hanno vissuto questi macachi è molto diverso da ciò che viviamo noi oggi in quarantena. La loro deprivazione è stata una deprivazione dal legame primario, quello con la madre.

Oggi i nostri cuccioli non solo non sono stati deprivati dal legame primario, ma anzi hanno spesso avuto l’occasione di passare con i genitori molto più tempo di quello che generalmente passano nel quotidiano. Credo che di questo dovremo farne tutti tesoro, non solo come un ricordo che ha reso questa esperienza più lieve, ma anche per fare scelte diverse.

Tuttavia è indubbio che una sorta di deprivazione sociale la stiamo sperimentando tutti. Possiamo in parte rivederci nei comportamenti dei macachi deprivati: in casa a vagare nel nulla, ripiegarci su noi stessi, sul nostro corpo, a volte nervosi, a volte apatici a disabituarci a relazionarci con l’altro.
Credo che questa disabitudine possa essere il principale rischio: come i macachi che perdono interesse a relazionarsi con l’altro anche noi potremmo tutto sommato abituarci a questo isolamento?

La relazione d’altra parte è impegnativa, richiede impegno, energie, responsabilità, capacità di negoziare, ascolto, comprensione, il mettersi in gioco, fatica, fatica e ancora fatica.
Ma è anche bella, stimolante, arricchente. La relazione è vita.

Uscire dalla zona di confort che tutto sommato ci siamo creati sarà la prossima sfida.

Un’altra riflessione che mi viene da fare è come i giovani stiano riuscendo a superare questa esperienza senza contraccolpi evidenti. Questo almeno è ciò che mi pare di cogliere.

Questo ci stupisce: come mai coloro che più di tutti in questa fase traggono energia vitale dalle relazioni al di fuori del contesto familiare oggi non scalpitano (almeno non come ci aspetteremmo) a stare chiusi in casa?

Forse sono più abituati a mantenere e coltivare i contatti al di là delle distanze fisiche grazie alla virtualità che conoscono meglio di tutti.

O forse questa virtualità li ha abituati e in parte già disinteressati ai contatti umani veri relegandoli in quell'esperienza buia che sta diventano la nuova emergenza giovanile, ovvero l’isolamento sociale?

Forse questa quarantena ci avrà dato la possibilità di avvicinarci un po’ al loro mondo.

sabato 28 marzo 2020

LE DIVERSE FACCE DELLA RESILIENZA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS


Prima di scrivere questo post ci ho pensato molto… Mi sono chiesta ce ne sarà davvero bisogno?
In questi giorni ho letto molto sul Coronavirus, molte riflessioni anche interessanti. Personalmente ritengo di aver avuto bisogno di un po' di tempo, tempo per capire, rielaborare, rendermi conto di ciò che stava accadendo. Non so se ci sono riuscita, ancora è difficile prenderne in pieno coscienza, tuttavia una riflessione l'ho fatta e ho voglia di condividerla.

Penso che questo momento ci possa far riflettere sui diversi modi che ha l'uomo per fronteggiare le difficoltà. È sempre interessante guardarsi dall'esterno, studiare le potenzialità infinite del genere umano, le sue contraddizioni, le ambiguità, la ricchezza, la complessità della nostra specie.
Oggi vorrei parlarvi di resilienza. Resilienza è un termine molto utilizzato in molti ambiti (psicologico, ma non solo anche sportivo, lavorativo...), in realtà è un termine preso in prestito dalla fisica e si riferisce alla proprietà di alcuni materiali di non spezzarsi di fronte alle forze avverse applicate, ma di cambiare e adattare la sua forma. Partendo da questo concetto la psicologia ha preso a prestito questo termine per indicare come la persona, davanti alle difficoltà, sappia far emergere o sviluppare capacità e risorse inaspettate che non avrebbe sviluppato altrimenti. Visto in questo modo la difficoltà si va a configurare come una circostanza migliorativa nel percorso di vita dell'individuo.
Nel contesto Coronavirus possiamo dire che questa circostanza, in tutta la sua drammaticità, si stia comunque dimostrando un'occasione per sviluppare resilienza. Vediamo quali sono i diversi processi resilienti che possiamo osservare nel modo di reagire delle persone e vediamo anche quali sono le deviazioni in cui c'è il rischio di incappare.

Una delle modalità con le quali le persone hanno reagito è stato il riconoscersi (verrebbe da dire finalmente) come un'unica comunità. Abbiamo visto in modo chiaro come ci sia stata la necessità di andare sui balconi, di esporre segni di appartenenza e speranza, di creare rituali di elaborazione della situazione e di infondere speranza. La resilienza in questo caso si evidenzia in una presa di coscienza dell'appartenenza comunitaria e questo ha stimolato azioni di solidarietà: quando ci si riconosce nell'altro, quando sentiamo in modo forte la nostra natura sociale (in un momento di isolamento, notate bene) emerge la nostra innata capacità di essere empatici, di sentire il bisogno di fare qualcosa per l'altro.

Un altro aspetto che ha a che fare con la resilienza riguarda i bilanci, i cambi di prospettiva che questo momento di sospensione ci sta costringendo a fare. Di fatto ci troviamo costretti a fare delle riflessioni.. Una condizione non banale. Siamo sempre così incastrati nelle nostre routine organizzate che spesso non abbiamo il tempo e il modo di sentirci. Siamo spesso in fuga da noi stessi, dalle nostre emozioni, dai nostri valori e dalla nostra vera essenza. In questo periodo siamo costretti a riflettere su questo. Molti di noi potrebbero accorgersi che non stanno percorrendo strade in cui davvero credono e avranno la possibilità di cambiare o semplicemente di conoscersi davvero. Potrebbe non essere facile, potrebbero cadere delle certezze, potrebbero emergere emozioni negative che siamo ormai abituati a sotterrare, ma alla lunga ci allontanano da noi stessi.

Questo tempo non ci dà solo l'opportunità di riflettere su noi stessi, ma anche su questioni globali. Sembriamo aver ripreso coscienza di far parte di un tutto più grande di noi, sembriamo aver ripreso rapporti con il trascendente. Ci siamo emozionati osservando la natura che riprende i suoi spazi, i delfini nei porti, l'aria pulita…Abbiamo fatto riflessioni sull'inquinamento, sulla necessità di cambiare le cose e anche sull'impotenza dell'uomo che ha la grande illusione di controllare tutto, ma si ritrova in ginocchio davanti all'invasione di un virus.
Tutte queste riflessioni hanno molto a che fare con la resilienza, così come con essa hanno a che fare le vignette su Facebook e su Whatsapp che ci fanno sorridere nonostante il momento così drammatico. Sembra strano accostare le grandi riflessioni sull'umanità a qualche battutaccia fatta girare sui social, eppure anche l'ironia e l'umorismo sono un modo di fronteggiare le difficoltà, soprattutto quelle che non possiamo cambiare e su cui non abbiamo il controllo.
D'altronde l'uomo è così, la vita è così: c'è il tendere verso le grandi questioni a cui non potremo mai dare una risposta e poi ci sono gli aspetti più concreti, le cose "stupide" che però ci mancano.

Questo momento così particolare ci dà così l’occasione di cogliere i diversi modi in cui sviluppare resilienza: riconsiderare i propri obiettivi, rimodulare traiettorie di vita, percepire un diverso legame tra sé e l’altro, acquisire una visione complessa del rapporto con il pianeta, fare crescere o coltivare (accorgersi che esiste) una parte spirituale, coltivare l’umorismo, l’ironia, saper sorridere.

Viene quindi da chiedersi: come sarà il dopo? Sarà davvero così diverso dal prima? Le persone faranno davvero dei cambi di vita? Avranno davvero una diversa consapevolezza del rapporto tra sè e l'universo?
Oppure torneranno alle loro routine, riprenderanno l'agenda in mano e ricominceranno ad incastrare l'allenamento di calcio con quello di basket con il corso di yoga, ricordando come una strana parentesi questo periodo di sospensione della propria vita?
La risposta dipende da noi. Di sicuro chi sta subendo delle perdite importanti non avrà la vita di prima, per questo è giusto ricordarsi che questo momento, pur mettendoci tutti nelle stesse condizioni, è in realtà molto diverso per ciascuno. La stessa differenza è quella che c'è tra chi sta passando la quarantena in casa e chi sta fronteggiando in prima linea l'emergenza sanitaria, chi vede e vive ogni giorno situazioni estreme che sicuramente non dimenticherà.
In generale possiamo augurarci che la "normalità" possa tornare quanto prima e che in questa nuova- vecchia ritrovata normalità sappiamo fare tesoro degli spunti che oggi scegliamo di voler cogliere.

venerdì 17 gennaio 2020

Vedere l' attaccamento




Ripartono le iscrizioni per il Circolo della sicurezza, il percorso di otto incontri per genitori di bambini da 0 a 6 anni per costruire relazioni sicure.
L'attaccamento è qualcosa di innato, che non sempre siamo portati a vedere e che riguarda il profondo legame che i bambini instaurano con i genitori che garantisce loro la sopravvivenza: non solo la sopravvivenza fisica, ma anche e soprattutto quella emotiva.
Grazie al circolo della sicurezza possiamo dapprima vedere il cerchio che il bambino compie seguendo il suo bisogno di esplorazione che lo porta lontano e quello di vicinanza che lo spinge a tornare per fare rifornimento emotivo, poi possiamo rispondere ai suoi bisogni specifici quando sono attive queste due istanze.
Quando il genitore riesce a rispondere (per la maggior parte delle volte) ai bisogni del bambino instaura con lui un attaccamento sicuro. I bambini con attaccamento sicuro hanno una buona autostima, hanno relazioni sociali soddisfacenti, sanno gestire meglio le emozioni, sanno chiedere aiuto quando hanno bisogno, fare da soli quando possono e si fidano degli altri. Queste caratteristiche sono stabili e durature e hanno un impatto importante in tutte le fasi del ciclo di vita, non solo nell'infanzia.
Cos'ha di innovativo il modello del Circolo della sicurezza?
Il circolo dapprima aiuta a visualizzare i bisogni del bambino attraverso una mappa che rappresenta i bisogni d'attaccamento, successivamente induce alla riflessione sulla relazione e sulle emozioni che i bisogni d'attaccamento possono indurre nei genitori. 
Il tutto è reso semplice e fruibile dall'ausilio di filmati e grafiche che mostrano vere interazioni genitori-figli. 
Spesso il nostro linguaggio e la nostra modalità usuale di guardare a ciò che accade ci spinge a vedere il bambino, le sue caratteristiche (presunte innate o meno) e non la relazione.  Il circolo aiuta a cambiare punto di vista, fornisce una nuova prospettiva, spinge a vedere ciò che "è ben visibile, sebbene nascosto alla vista comune"(Cit. filmato COS-p DVD)
La parola chiave del percorso è EMOZIONI, una buona parte del percorso sarà dedicata alla gestione delle emozioni. Risponderemo alla domanda che riguarda come i bambini imparino a gestirle e si acquisiranno nuove consapevolezze circa i propri vissuti. In questo modo apriremo nuove prospettive circa il modo di guardare al comportamento difficile dei bambini. Lo scopo del Circle non è fermare il comportamento disturbante, ma comprendere il bisogno emotivo che sta dietro al comportamento nella convinzione che anche per il bambino sia molto difficile essere difficile. 
Informazioni ulteriori sul percorso in partenza al 3406926564, oppure ritaferrari258@gmail.com