Le paure dei bambini, un tema molto trattato e molto sentito dai genitori, spesso ci si domanda come aiutare i bambini a superarle. Un buon modo per capire come aiutare i bambini è cercare di capirli, anzi fare un giro nella loro mente.
Più nello specifico sappiamo che nello sviluppo i bambini attraversano
diverse fasi in cui emergono paure. La paura di per sé è un'emozione primaria
quindi già presente precocemente nello sviluppo, ma è quando il bambino inizia
a pensare che le paure diventano ricche di contenuti condivisibili. Ecco che
arriva la paura dei mostri, del buio, dei fantasmi, del lupo.. Oppure paure più
concrete: paura del dottore, dei ladri e più avanti la paura della scuola...
Le paure sono state analizzate dalla psicanalisi e in esse è stato possibile
scorgere le più ataviche e condivise angosce dell'essere umano. Nel caso
del bambino, crescendo, egli deve integrare le diverse parti di sè e le paure
in qualche modo gli servono per effettuare questo processo, "buttando
fuori" e rimettendo dentro ciò che ha bisogno di essere integrato.
Una prospettiva interessante al tema l'hanno fornita Fonagy e Target
parlando di mentalizzazione e di processi attraverso i quali si raggiunge.
Per mentalizzazione intendiamo quel processo attraverso il quale l'individuo
impara a percepire se stesso e l'altro come portatore di intenzioni,
cognizioni, affetti e bisogni. La mentalizzazione è alla base della competenza
emotiva e relazionale, influenza le abilità sociali e la regolazione delle
emozioni.
Fonagy e Target hanno dato un nome alle fasi che attraversa il bambino prima
di raggiungere la mentalizzazione.
Essi parlano fondamentalmente di due fasi: l'equivalenza psichica e il fare
finta.
Nell'equivalenza psichica il bambino non ha ancora imparato a distinguere la
realtà interna da quella esterna e quindi vive i propri pensieri non come tali
ma come la realtà. Vediamo un esempio: se un bambino immagina un coccodrillo
sotto il letto, per il bambino il coccodrillo è sotto il letto. ( Realtà
interna=realtà esterna). Non sa che c'è e una differenza tra immaginazione e
realtà, le vive come indistinguibili.
Questo spiega come mai sia così difficile convincere con la razionalità un
bambino spaventato.
Nella crescita egli supererà questa fase con il" fare finta". In
questa fase il bambino sa che c'è una differenza tra reale e immaginato e
sceglie di fare prevalere l'immaginato. Se sta giocando con un cucchiaio
fingendo che sia una bacchetta magica egli sa che ciò che ha in mano non è
davvero una bacchetta, ma sceglie di comportarsi come se lo fosse. La sua mente
però si trova o nella modalità del fare finta o nella realtà, non riesce a
passare in modo fluido tra le due: è per questo che il bambino di prima
potrebbe arrabbiarsi molto se mentre gioca gli facessimo notare che quello che
ha in mano è un cucchiaio e non una bacchetta.
La fase finale di queste modalità sarà l'acquisizione della capacità di
mentalizzazione: ovvero la comprensione che la realtà interna è una
rappresentazione di quella esterna e che la propria mente è separata da quella
degli altri. Questo comporta la consapevolezza del fatto che anche gli altri
hanno una loro rappresentazione che può essere diversa dalla propria.
Gli studiosi ci dicono che fino ai 4 anni la mente del bambino lavora
secondo le modalità dell'equivalenza psichica o del far finta.
Come comportarsi quindi per aiutare un bambino che è terrorizzato dal
pensiero di avere un coccodrillo sotto al letto?
Riportarlo alla realtà facendogli ad esempio vedere che sotto il letto non
c'è nulla? In alcuni casi questa può essere un'opzione, può servire a
rassicurare temporaneamente il bambino, ma la razionalizzazione, il riportare
alla realtà è una modalità che funziona più con gli adulti che con i bambini.
La mente del bambino, come dicevamo, può funzionare senza aver ancora
acquisito una chiara separazione tra il reale e l'immaginato. Quindi se il
pensiero di mostri si impossessa della mente del bambino, i mostri ci sono e
sono reali. Cosa fare allora?
La funzione della mente dell'adulto rispetto alla mente del bambino è quella
di fungere da contenitore: un contenitore che sappia rispecchiare, aiutare a
comprendere, proteggere dalla disgregazione.
Dicevamo all'inizio, è importante vedere con gli occhi del bambino:
facciamogli capire che lo capiamo, che quella che sta vivendo si chiama paura,
che è un'emozione valida e che per quanto spiacevole e spaventante è utile e
che non è solo ad affrontarla.
Ciò di cui hanno davvero bisogno i bambini non è qualcuno che tolga loro
l'emozione negativa che stanno provando, ma il fatto di sapere di non essere
soli nel sperimentarla. Essere con loro significa che sapremo accompagnarli
nella tempesta, che li aiuteremo a nominarla, a riconoscerne l'intensità e la
durata.
Facendo questo il bambino diventerà sempre più capace di acquisire una
prospettiva sui propri stati mentali, si renderà conto di quali contenuti e
pensieri è fatta la sua paura, saprà nominarli e condividerli e troverà con il
nostro sostegno un modo lui stesso per fronteggiarli.
Ad esempio, uscito dalla massima intensità dell'emozione, potremmo chiedere
al bambino di disegnare ciò che lo spaventa, questa è già un'azione importante
perché consente al bambino di esternalizzare e condividere il proprio vissuto.
Potremmo poi trovare un modo insieme per rendere innocuo il mostro usando la
fantasia, ad esempio rendendolo buffo o costruendo scudi e protezioni per stare
al riparo. Il bambino userà così gli strumenti immaginativi che la sua mente in
quel momento gli mette a disposizione per gestire le sue emozioni e pian piano
assisteremo ad un'evoluzione di queste modalità che andranno sempre via via
verso un approccio più orientato alla realtà.
Magari, alla fine, proveremo anche un po' di nostalgia per quei pupazzi
che formavano una barriera di cui si circondava quando andava a dormire quando
era più piccolo, anche se sappiamo che loro, come molti di noi, li hanno
conservati a lungo, ben oltre quello che sarebbero stati disposti ad ammettere
all'esterno.