Quante volte ci è capitato di provare a discutere con nostro figlio per spiegargli che se aveva aggredito un compagno di classe non poteva essere tutta colpa dell'altro.
Quante volte abbiamo cercato di convincerlo che se l'insegnante gli aveva dato per l'ennesima volta una nota non poteva essere sempre e sistematicamente colpa del compagno di banco che tendeva a distrarlo..
E d'altro canto quante altre volte ci siano sentiti non capiti e ulteriormente arrabbiati quando, cercando di spiegare la nostra posizione contro il nostro capo ad un nostro amico, lui ha cercato di farci vedere quale potesse essere la nostra responsabilità nel trovarci in quella situazione?
In queste e tante altre situazioni della nostra quotidianità potremmo dire che in noi o in nostro figlio sta prevalendo l'esternalizzazione, ovvero la tendenza a " dare la colpa all'altro" rendendoci difficile la possibilità di considerare il nostro contributo alla storia.
Ma vediamo di comprendere meglio ciò di cui stiamo parlando.
Potremmo immaginarci la capacità di elaborare (e quindi vivere pienamente e consapevolmente) la nostra rabbia come un percorso a più tappe. Si tratta di tappe evolutive nel senso che man mano che si cresce si è ( o si dovrebbe essere) sempre più in grado di accedere a livelli più elevati di elaborazione, ma anche da adulti a seconda dell ' intensità o della profondità dell' emozione provata o della condizione psicologica personale, possiamo non riuscire ad accedere ai livelli più elevati di elaborazione della rabbia. Vediamo nello specifico quali sono questi livelli di mentalizzazione, così viene chiamata questa capacità di elaborazione dell' emozione.
Ad un primo e più primitivo livello l' emozione rabbia non può nemmeno essere pensata: viene solo agita. E' come se venisse semplicemente scaricata una tensione interna attraverso un'azione esplosiva. Dare un calcio ad un mobile, rompere una tazza, lanciare qualcosa sono esempi di questo primitivo livello. Già a questo punto riconosciamo comportamenti tipici dei bambini arrabbiati, ma a volte anche degli adulti.
Al secondo step abbiamo l'impulso modulato: non più l'azione non pensata, ma un'immagine, un pensiero di ciò che vorremmo fare, ma non stiamo facendo. E' il classico: "Gli avrei dato un bel pugno". L'immagine emerge dalla nostra mente in modo automatico, ma non facciamo quello che ci suggerisce. Vedete che il pensiero è venuto in nostro soccorso, non siamo più solo azione.
Quando i bambini nel parlare della propria rabbia ci raccontano delle cose terribili che avrebbero voluto o vorrebbero fare dobbiamo considerare che stanno compiendo un passo importante nella mentalizzazione della rabbia. Non dobbiamo legittimare azioni violente, ma accompagnare nell'elaborazione consapevoli che il primo step lo hanno già superato, è la strada giusta.
Frasi come: "Capisco che tu sia molto molto arrabbiato, anzi infuriato, e quando stiamo così la nostra mente ci fa pensare a queste cose, ma possiamo scegliere di non farle. Vedi, la tua mente ti sta dicendo cosa faresti senza riflettere, cosa che invece stai facendo!" possono aiutare questo accompagnamento.
Il terzo step è l'esternalizzazione, ciò di cui parlavamo all'inizio, "E' tutta colpa sua" è la frase per eccellenza. Anche in questo caso consideriamo che siamo ad un punto intermedio dell'elaborazione e a volte con i bambini ci dobbiamo accontentare di questo. Se cerchiamo di convincerli che non è così ci troveremo facilmente in una ramanzina con pochi effetti sulla comprensione del bambino della situazione. Più utile allora un accompagnamento verso lo step successivo l' appropriazione: facciamo sì che esprima chiaramente come si sente, perchè è così arrabbiato, quale senso di ingiustizia sente al suo interno, quali altre emozioni ci sono oltre alla rabbia. Questo ovviamente non significa che non ci debbano essere conseguenze al suo comportamento nel caso abbia commesso un danno o fatto male agli altri.
Solo all'ultimo livello, quello più complesso, non solo saremo in grado di riconoscere la nostra parte in ciò che è successo, ma riusciremo anche a renderci conto di come filtriamo l'interpretazione degli eventi grazie alla rabbia, che significato ha quella rabbia per noi. Allora potremo dirci: "So che sono arrabbiato e quindi tendo ad interpretare le azioni degli altri come minacciose e tendo a non fidarmi." Oppure: "So che quando non mi sento ascoltato tendo ad arrabbiarmi in modo eccessivo e chiudermi e questo non mi consente di avere una normale discussione".
Come possiamo vedere si tratta di un livello complesso al quale non arriviamo in tutte le circostanze. Sicuramente un cervello arrabbiato non riesce nel momento di maggiore attivazione ad attivare questo livello. Per questo nella rabbia, come nelle altre emozioni molto attivanti, è importante darsi il tempo di "raffreddare" e affrontare successivamente la situazione. Questo consente altre possibilità interpretative e altre modalità di gestione dei problemi.
Darsi e dare il tempo di "raffreddare" significa anche sapere quando non è il caso di incalzare l'altro con interrogatori o spiegazioni del proprio punto di vista. Anche se lo scopo non è quello di litigare la discussione verbale spesso aumenta la tensione di un cervello arrabbiato. Ecco perchè i bambini arrabbiati necessitano di adulti che accolgano prima di impartire insegnamenti. Da questo accoglimento possono partire per questo percorso a tappe.
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