Il film ripercorre in modo abbastanza fedele la trama originale del cartone del 1950 con qualche interessante riadattamento.
Cenerentola è un grandissimo classico. Nel riguardare la versione originaria oggi possono stridere alcuni aspetti che nell'epoca del politically correct possono far storcere un po' il naso: la fanciulla servile la cui unica via d'uscita da una situazione di sottomissione è l'incontro con un principe che la salverà ( e che la conquisterà solo con un misero ballo).
Potremmo riflettere su quanto Cenerentola può aver condizionato la psiche delle giovani fanciulle di varie epoche nell'aver fatto credere loro che dovesse arrivare un principe azzurro per emanciparsi ed avere successo nella vita, ma non è questa la parte che ci interessa in questo caso.
La parte su cui vorrei portare l'attenzione è come il riadattamento del film sia riuscito a produrre un elogio alla gentilezza senza che questa venga rappresentata come debolezza e come questa caratteristica, oggi in via d'estinzione, meriti di essere protetta come l'orso polare.
SII GENTILE E ABBI CORAGGIO, è la frase che viene più volte ripetuta e alla quale Cenerentola si ispira, eredità della madre.
Gentilezza e coraggio sono le doti che le consentiranno di non tradire mai se stessa, neanche davanti alle angherie della matrigna, interpretata da una bravissima Cate Blanchett, di cui vengono esplicitate le motivazioni alla base, passioni fondamentalmente umane: invidia, sofferenza per un lutto non elaborato.
Il momento più significativo del film è lo sguardo finale (vedi foto) che Cenerentola dedica alla matrigna prima di dirle che l'aveva perdonata. Uno sguardo fiero, liberatorio, forse un po' sfidante, lo sguardo di chi sa andare oltre con gentilezza e coraggio.
Forse proprio oggi abbiamo bisogno di tornare alla gentilezza. Ma cos'è questo nobile sentimento così poco contemporaneo?
Dal vocabolario Treccani si legge:" Amabilità, garbo, cortesia nel trattare con altri ". La gentilezza ha a che fare più con il modo in cui si fa qualcosa che su ciò che si fa o si dice, è accoglienza e attenzione all'altro, è rifiuto di prepotenza, violenza, sopruso.
La gentilezza che ci interessa non è quella formale, di facciata, di chi si sa muovere con modi suadenti per "etichetta" o per raggiungere il proprio scopo, ma quella autentica che viene dall'animo.
Da dove arriva la gentilezza e perchè è così poco esercitata?
La gentilezza dal punto di vista psicologico può essere legata a tutto l'insieme delle abilità prosociali che vanno sotto la grande etichetta di EMPATIA. I bambini fin da piccoli, a partire dai due anni, sono capaci di atti di gentilezza: consolano spontaneamente i bambini che piangono, offrono cibo o giocattoli a chi è triste e con il linguaggio imparano i rituali sociali del "grazie" e "per favore". I bambini oscillano tra questi comportamenti e altri assolutamente egocentrati perchè il loro cervello è ancora immaturo e deve ancora sviluppare un equilibrio tra l'idea di sè, quella dell'altro e della relazione tra i due. L'empatia quindi è in parte innata, ma ha anche bisogno di essere esercitata e sperimentata.
Ecco perchè, sebbene sia importante che i genitori insegnino la gentilezza, è ancora più importante che essi siano esempi di gentilezza. Sarà capitato a molti di noi di "dare lezioni di gentilezza" in modo non proprio gentile. Difficilmente quando "diamo lezioni" siamo modelli incisivi e ancora meno facilmente saremo credibili se c'è discrepanza tra il contenuto che vogliamo esprimere e la forma con cui lo stiamo esprimendo.
Ma andiamo oltre, nel contesto sociale in cui siamo inseriti non troviamo molti esempi di gentilezza. Se pensiamo al tono delle discussioni sui social, all'aumentato livello di violenza per discussioni banali ad esempio in auto o tra sconosciuti per strada o in fila alla posta... Di gentilezza sembra essercene rimasta ben poca...
La nostra società così competitiva e orientata all'individualismo può spingere a credere che chi è gentile con il prossimo verrà schiacciato dalla legge del più forte. Alcuni messaggi che abbiamo introiettato potrebbero contenere impostazioni di questo tipo: "Là fuori è una giungla, se non alzi la cresta ti mangeranno" "Fagli vedere chi comanda"..
In realtà la gentilezza potrebbe essere un buon antidoto al tasso di violenza che ci invade e ci attraversa.
La gentilezza da coltivare non è solo verso gli altri, ma in primo luogo verso se stessi. Dobbiamo prestare attenzione alle cose che diciamo a noi stessi, troppo spesso non siamo accoglienti con le nostre emozioni, siamo giudicanti ed eccessivamente critici e tutto questo chiacchiericcio negativo intralcia il raggiungimento dei nostri obiettivi. Chi ha una bassa autostima ha un dialogo interno ipercritico e "violento" e gli approcci terapeutici odierni convergono verso l'importanza dell'accoglienza e accettazione di sè attraverso l'esercizio attivo di quell'atteggiamento che potremmo chiamare di GENTILEZZA E COMPASSIONE.
Spesso nelle consulenze con i genitori capita di parlare di come aiutare i bambini nella costruzione della loro autostima e spesso si discute del dialogo interno e di quanto si è gentili con se stessi. La prima cosa su cui chiedo di riflettere è di porre attenzione a come i genitori trattano se stessi, i figli captano e fanno propri anche questi messaggi.
E' possibile fare qualcosa di pratico per coltivare gentilezza?
Il primo passo è accorgersi di essa e darle spazio e attenzione. Ricordo di aver lavorato con una classe delle scuole elementari con la quale avevamo costruito un braccialetto della gentilezza. Ciascun bambino ne aveva fatto uno suo e aveva il compito di cambiare polso al braccialetto ogni volta che compiva un'azione gentile (l'idea era stata presa dal testo di Elin Snel "Calmo e attento come una ranocchia"). Era stata una buona occasione per porre l'accento su questo aspetto e aveva dato modo di riflettere su come ci si sente a ricevere e offrire gesti gentili. Questi spostamenti di focus sono importanti in quanto a volte nella nostra azione educativa rischiamo di dare maggiormente risalto al negativo piuttosto che al positivo.
Il messaggio che va tenuto a mente è comunque sempre questo: LA GENTILEZZA VA ESERCITATA E NON INSEGNATA. Quindi alleniamoci e saremo buoni allenatori
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