lunedì 18 gennaio 2021
Il lungo cammino verso l'elaborazione della rabbia...
mercoledì 6 gennaio 2021
SOUL: COSA SIGNIFICA "ESSERE NELLA BOLLA"? E' DAVVERO L'UNICO MODO PER ESSERE FELICI?
Soul è l'ultimo capolavoro Disney, quest'anno uscito in esclusiva solo su Disney plus vista la chiusura dei cinema.
Ci sono molti spunti degni di nota in questo film, ma ciò di cui vorrei parlare è la cosiddetta scintilla che il protagonista Joe Gardner prova suonando il pianoforte. La stessa scintilla che 22, un'anima non ancora venuta al mondo, non riesce proprio trovare..
Guardando il film e osservando come Joe si perda nella sua musica mentre suona, raggiungendo uno stato di estasi in cui corpo ed anima si uniscono, mi è venuta in mente la Flow Theory che avevo studiato anni fa all'università, vediamo di cosa si tratta.
Csikszentmihalyi (nome impegnativo, difficile da dimenticare), nell'ormai lontano 1975 ha incominciato a teorizzare il concetto di flow, ovvero quello stato di completa immersione nel compito in cui si perde il senso del tempo, ci si sente in completo controllo, si è tutt'uno con il contesto ( ad esempio un nuotatore che all'apice della prestazione si sente tutt'uno con l'acqua, con il suo movimento), ci si sente intrinsecamente motivati nell'attività.
Pensiamo all'artista che preso dalla realizzazione del suo quadro continua la sua opera completamente immerso, pensiamo allo sportivo che si cimenta in una sfida impegnativa, ma che si sente in totale armonia con ciò che sta facendo. Lo stato di flow è un'esperienza estremamente gratificante che ha delle caratteristiche ben precise (bilanciamento tra sfida e abilità: senso che l’individuo si sta impegnando in qualcosa di appropriato per le proprie capacità; fusione tra azione e consapevolezza; senso di controllo, sia delle proprie azioni, sia delle conseguenze di esse; obiettivi prossimali chiari e feedback immediato che permettono lo svolgersi continuo del processo, momento per momento; attenzione e concentrazione totale sul compito; distorsione della normale percezione temporale, esperienza autotelica ovvero gratificante in se stessa da Nakamura e Csikszentmihalyi, 2002), la cosa che più colpisce è la "perdita dello stato di autocoscienza ordinario". L'attore è così assorbito nel compito che non si percepisce più in modo egocentrato, ma è appunto un tuttuno con l'attività. Nel film la bolla viene spiegata con un accezione spirituale, chi la sperimenta si ritrova in un altro mondo.
La teoria del flow ha trovato applicazione in campo lavorativo, sportivo e motivazionale: è evidente che ritrovandosi nel flow le persone diventano estremamente gratificate, creative e produttive.
Interessante anche l'applicazione della teoria del flow nel campo del GAME DESIGN.
I vedeogiochi più avvincenti sono studiati per far sperimentare al giocatore l'esperienza del flow: il giocatore deve sentirsi bravo, efficace e competente nell' affrontare sfide sufficientemente difficili. Sperimentando questo egli può immergersi completamente e muoversi in uno stato ottimale di gratificazione. In pratica ciò che il Game designer deve evitare è che il giocatore si annoi o sia eccessivamente in ansia e sono proprio questi gli stati emotivi limite all' interno dei quali si colloca lo stato del flow: n'è nella noia di una sfida troppo facile, né nell' ansia di una troppo al di sopra delle possibilità, ma tra le due, nell' autoefficacia.
Ma questa continua ricerca di assorbimento nel compito, di esperienza ottimale avrá dei costi?
Il primo che viene in mente è la nostra incapacità a stare nella noia, nella frustrazione.
In particolare sembra esserci il terrore di stare in queste emozioni, soprattutto da parte degli adolescenti e giovani adulti. D'altronde la tecnologia viene spesso utilizzata per non sperimentarle: appena ci troviamo in un momento di attesa o vuoto abbiamo subito la necessità di riempirlo prendendo in mano il cellulare e dedicandoci allo scrolling. Ma queste emozioni avranno pure una loro utilità..
E se questo assorbimento diventasse uno dei pochi modi per costringerci ad agganciare la nostra attenzione?
D'altronde noia e frustrazione sono emozioni importanti da sapere gestire: nella noia facciamo spazio ai nostri pensieri, diamo modo alla nostra creatività di far emergere stimoli. La frustrazione non è mai evitabile e in essa mettiamo in gioco le nostre capacità di problem solving. Nell'attesa facciamo crescere il desiderio, motore della vita.
Nel film Soul è interessante come vengono rappresentati coloro i quali trasformano la propria scintilla in ossessione: diventano esseri scuri, angosciati e ripiegati su se stessi.
Forse la scintilla è importante, ma ciò che arricchisce davvero le nostre vite sono le relazioni.
Il film questo ce lo mostra: nel rapporto tra il professor Gardner e 22 ciascuno di loro trova nella relazione con l'altro le risposte che sta cercando. Joe comprende che il significato della vita sta nelle piccole cose e 22 trova il coraggio di affrontare il suo senso di inadeguatezza che la fa essere spesso cinica e sfiduciata.
Le passioni, l'essere completamente assorbiti nelle proprie scintille può essere lo scopo della vita o lo scopo della vita è la vita stessa? Fatta di relazioni e di rapporto tra io e l' altro?
Oppure, ancora, le proprie scintille hanno un senso se ci aprono al mondo e non se ci rinchiudono all'altro?
Quante domande e quanti significati in un film che sicuramente non è "solo un film per bambini". O forse questa è la sua forza.
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2015/11/flow-experience-prestazione-perfetilil
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domenica 3 gennaio 2021
LA GENTILEZZA: UNA TENDENZA FUORI MODA?
Il film ripercorre in modo abbastanza fedele la trama originale del cartone del 1950 con qualche interessante riadattamento.
Cenerentola è un grandissimo classico. Nel riguardare la versione originaria oggi possono stridere alcuni aspetti che nell'epoca del politically correct possono far storcere un po' il naso: la fanciulla servile la cui unica via d'uscita da una situazione di sottomissione è l'incontro con un principe che la salverà ( e che la conquisterà solo con un misero ballo).
Potremmo riflettere su quanto Cenerentola può aver condizionato la psiche delle giovani fanciulle di varie epoche nell'aver fatto credere loro che dovesse arrivare un principe azzurro per emanciparsi ed avere successo nella vita, ma non è questa la parte che ci interessa in questo caso.
La parte su cui vorrei portare l'attenzione è come il riadattamento del film sia riuscito a produrre un elogio alla gentilezza senza che questa venga rappresentata come debolezza e come questa caratteristica, oggi in via d'estinzione, meriti di essere protetta come l'orso polare.
SII GENTILE E ABBI CORAGGIO, è la frase che viene più volte ripetuta e alla quale Cenerentola si ispira, eredità della madre.
Gentilezza e coraggio sono le doti che le consentiranno di non tradire mai se stessa, neanche davanti alle angherie della matrigna, interpretata da una bravissima Cate Blanchett, di cui vengono esplicitate le motivazioni alla base, passioni fondamentalmente umane: invidia, sofferenza per un lutto non elaborato.
Il momento più significativo del film è lo sguardo finale (vedi foto) che Cenerentola dedica alla matrigna prima di dirle che l'aveva perdonata. Uno sguardo fiero, liberatorio, forse un po' sfidante, lo sguardo di chi sa andare oltre con gentilezza e coraggio.
Forse proprio oggi abbiamo bisogno di tornare alla gentilezza. Ma cos'è questo nobile sentimento così poco contemporaneo?
Dal vocabolario Treccani si legge:" Amabilità, garbo, cortesia nel trattare con altri ". La gentilezza ha a che fare più con il modo in cui si fa qualcosa che su ciò che si fa o si dice, è accoglienza e attenzione all'altro, è rifiuto di prepotenza, violenza, sopruso.
La gentilezza che ci interessa non è quella formale, di facciata, di chi si sa muovere con modi suadenti per "etichetta" o per raggiungere il proprio scopo, ma quella autentica che viene dall'animo.
Da dove arriva la gentilezza e perchè è così poco esercitata?
La gentilezza dal punto di vista psicologico può essere legata a tutto l'insieme delle abilità prosociali che vanno sotto la grande etichetta di EMPATIA. I bambini fin da piccoli, a partire dai due anni, sono capaci di atti di gentilezza: consolano spontaneamente i bambini che piangono, offrono cibo o giocattoli a chi è triste e con il linguaggio imparano i rituali sociali del "grazie" e "per favore". I bambini oscillano tra questi comportamenti e altri assolutamente egocentrati perchè il loro cervello è ancora immaturo e deve ancora sviluppare un equilibrio tra l'idea di sè, quella dell'altro e della relazione tra i due. L'empatia quindi è in parte innata, ma ha anche bisogno di essere esercitata e sperimentata.
Ecco perchè, sebbene sia importante che i genitori insegnino la gentilezza, è ancora più importante che essi siano esempi di gentilezza. Sarà capitato a molti di noi di "dare lezioni di gentilezza" in modo non proprio gentile. Difficilmente quando "diamo lezioni" siamo modelli incisivi e ancora meno facilmente saremo credibili se c'è discrepanza tra il contenuto che vogliamo esprimere e la forma con cui lo stiamo esprimendo.
Ma andiamo oltre, nel contesto sociale in cui siamo inseriti non troviamo molti esempi di gentilezza. Se pensiamo al tono delle discussioni sui social, all'aumentato livello di violenza per discussioni banali ad esempio in auto o tra sconosciuti per strada o in fila alla posta... Di gentilezza sembra essercene rimasta ben poca...
La nostra società così competitiva e orientata all'individualismo può spingere a credere che chi è gentile con il prossimo verrà schiacciato dalla legge del più forte. Alcuni messaggi che abbiamo introiettato potrebbero contenere impostazioni di questo tipo: "Là fuori è una giungla, se non alzi la cresta ti mangeranno" "Fagli vedere chi comanda"..
In realtà la gentilezza potrebbe essere un buon antidoto al tasso di violenza che ci invade e ci attraversa.
La gentilezza da coltivare non è solo verso gli altri, ma in primo luogo verso se stessi. Dobbiamo prestare attenzione alle cose che diciamo a noi stessi, troppo spesso non siamo accoglienti con le nostre emozioni, siamo giudicanti ed eccessivamente critici e tutto questo chiacchiericcio negativo intralcia il raggiungimento dei nostri obiettivi. Chi ha una bassa autostima ha un dialogo interno ipercritico e "violento" e gli approcci terapeutici odierni convergono verso l'importanza dell'accoglienza e accettazione di sè attraverso l'esercizio attivo di quell'atteggiamento che potremmo chiamare di GENTILEZZA E COMPASSIONE.
Spesso nelle consulenze con i genitori capita di parlare di come aiutare i bambini nella costruzione della loro autostima e spesso si discute del dialogo interno e di quanto si è gentili con se stessi. La prima cosa su cui chiedo di riflettere è di porre attenzione a come i genitori trattano se stessi, i figli captano e fanno propri anche questi messaggi.
E' possibile fare qualcosa di pratico per coltivare gentilezza?
Il primo passo è accorgersi di essa e darle spazio e attenzione. Ricordo di aver lavorato con una classe delle scuole elementari con la quale avevamo costruito un braccialetto della gentilezza. Ciascun bambino ne aveva fatto uno suo e aveva il compito di cambiare polso al braccialetto ogni volta che compiva un'azione gentile (l'idea era stata presa dal testo di Elin Snel "Calmo e attento come una ranocchia"). Era stata una buona occasione per porre l'accento su questo aspetto e aveva dato modo di riflettere su come ci si sente a ricevere e offrire gesti gentili. Questi spostamenti di focus sono importanti in quanto a volte nella nostra azione educativa rischiamo di dare maggiormente risalto al negativo piuttosto che al positivo.
Il messaggio che va tenuto a mente è comunque sempre questo: LA GENTILEZZA VA ESERCITATA E NON INSEGNATA. Quindi alleniamoci e saremo buoni allenatori