Avete mai pensato a come abbiamo imparato a gestire le
nostre emozioni?
Come siamo passati dal piangere e contorcerci urlando se
qualcuno ci toglieva qualcosa che volevamo, al segnalare a parole all'altro che
stavamo subendo un’ingiustizia?
Come siamo passati dall'essere sopraffatti dall'angoscia di
abbandono quando nostra madre ci lasciava all'asilo, al sentirci liberi di
giocare ed esplorare anche in sua assenza certi del suo ritorno?
Come abbiamo fatto a imparare che i nostri bisogni possono
essere anche non soddisfatti nell'immediato, che possiamo programmare i nostri
obiettivi a lungo termine?
Tutte queste importanti competenze noi le apprendiamo nella
relazione. È l’essere in relazione con adulti sensibili ai nostri bisogni che
ci ha reso capaci di comprendere cosa stesse accadendo in noi quando stavamo
provando un’emozione. È grazie al genitore che, guardandoci negli occhi,
rispecchiava la nostra emozione che abbiamo capito cosa ci stava accadendo. È lui
che segnalandoci, grazie ai segnali non verbali, che si trattava di “roba
nostra” e non sua ci ha consentito di “digerire” tutto il materiale emotivo
così difficile da maneggiare. È così che abbiamo imparato che rabbia è diversa
da paura, che è a sua volta diversa da tristezza. Chiamiamo questo tipo di relazione
SINTONIZZAZIONE.
Vediamo di essere più chiari: quando madre (o padre) e
bambino hanno le loro prime “conversazioni” faccia a faccia, il genitore
effettua spontaneamente il rispecchiamento, ovvero imita in un certo senso il
bambino enfatizzando con il tono di voce e la mimica le espressioni emotive del
figlio. Questo modo spontaneo di interagire con figlio viene chiamato
RISPECCHIAMENTO MARCATO, dove per “marcatura” intendiamo quei segnali non
verbali che mostrano al figlio che si tratta di un suo vissuto. Mentre tutto
ciò accade il genitore accompagna l’interazione con parole, ecco che pian piano
il bambino acquisisce anche il linguaggio emotivo. Saper nominare un’emozione è
il primo passo per poterla gestire. A volte i bambini non sanno cosa accade loro
quando sono travolti dalla rabbia, è solo il fatto di poter dare un nome a
questa bufera che sta per prendere il controllo li aiuta a riprendere in mano
il timone.
Ma se tutto ciò è quello che facciamo tutti spontaneamente
nelle prime interazioni con i nostri figli allora cos'è che può andare storto?
In realtà molte cose. Innanzitutto non è così scontato
riconoscere la rilevanza di questi proto-dialoghi. Per molto tempo il neonato è
stato considerato un insieme di riflessi, non un essere con così elevate
competenze relazionali. Inoltre ciò che molti ancora pensano è che il neonato
abbia solo bisogni di cura fisica e fisiologica mentre sappiamo quanto i suoi
bisogni relazionali siano in primo piano a partire dai primi momenti. In secondo
luogo, man mano che il bambino cresce, non è sempre facile rispecchiare
correttamente le sue emozioni, è possibile fare confusione. A questo proposito ricordiamoci
che la mente è opaca, quando cerchiamo di indovinare che emozione sta provando l’altra
persona ciò che facciamo è soltanto un’ipotesi e non realtà, inoltre facilmente
le emozioni che non sono state sufficientemente accolte e ascoltate nella
nostra famiglia d’origine sono le stesse con cui potremmo avere più difficoltà
con i nostri figli. Diventare genitori prevede sempre una rielaborazione della
propria storia di relazione con i propri genitori, ovvero della propria storia di
attaccamento. È proprio di questo che si occupa l’approccio del circolo della sicurezza, un programma di intervento basato sull'attaccamento per promuovere
relazioni sicure .
E allora nell'epoca in cui siamo sempre connessi ma poco
sintonizzati riusciremo a riappropriarci della potenza della relazione vis à vis? Occhi negli occhi. Non dimentichiamo
che a livello evoluzionistico noi siamo strutturati per funzionare in questo
modo.
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