TIKTOK, KEVIN E I PERICOLI DELLA RETE
Mi è capitato spesso ultimamente di sentire genitori
preoccupati per “nuove” APP usate dai figli in rete, tra le quali la
celeberrima Tiktok di cui non si fa che parlare..
Ho chiesto ai ragazzi di spiegarmi cosa fosse, chi meglio di loro può avere
le conoscenze necessarie per farmi capire di cosa stiamo parlando?! Mi dicono: “ Tu metti una canzone, poi ci canti sopra e puoi mettere tanti effetti, poi la gente
commenta..”. Nella mia mente si accende la mitica scena di Kevin (di Mamma ho
perso l’aereo) che, finalmente a casa da solo, si mette davanti allo specchio e
con tutte le faccine e mosse di cui solo lui è capace canta una canzone
natalizia.. Insieme a Kevin mi vengono in mente tanti altri che presi da un
momento di intima stupideira si mettono davanti allo specchio con una spazzola-microfono
e fingono almeno per qualche minuto di sembrare ciò che avrebbero voluto o
vorrebbero essere, dando sfogo alla propria vanità. Quest’ultimo è un bisogno
legittimo, fisiologico e sano in adolescenza, si diceva fino a poco tempo fa
che l’adolescente nel suo affacciarsi al mondo finge di essere davanti ad un
pubblico immaginario che lo giudica, lo apprezza, lo osanna oppure lo critica,
lo denigra, lo fa sentire inadeguato. Sottolineo “fino a poco tempo fa” in
quanto ultimamente questo pubblico più che "immaginario"è diventato virtuale il che
complica di non poco le cose. L’adolescente (e il preadolescente che oggi è
sempre più giovane) non può essere egocentrico e vanitoso come è giusto che sia
nella sua intimità, ma può esporsi in modo più o meno pericoloso ad un pubblico
reale che è quello della rete, ma che per le sue caratteristiche (è altrove,
non si vede in faccia, è lontano) può essere scambiato per un pubblico
immaginario. Quando i ragazzi sottostimano i pericoli a cui potrebbero esporsi
con certe immagini di sé in rete oppure minimizzano i significati di queste
immagini io chiedo loro di immaginare se farebbero le stesse cose su un palco
con gli occhi addosso dei propri genitori, dei loro professori dei propri
parenti… Quando sono sinceri rispondono di no… Eppure in rete si espongono in
modo esponenzialmente maggiore, ma non hanno la percezione di farlo. D'altronde
sono gli stessi ragazzi che vanno in giro con il cappuccio tirato sulla testa, la
testa bassa sullo schermo, che faticano a sostenere uno sguardo prolungato sull'autobus,
in ascensore, anche a tavola con i propri amici a volte. Sono gli stessi
ragazzi che hanno migliaia di follower, ma se devono andare in un negozio e
parlare con il commesso ci mandano la mamma (che ci va pure…).
Tutto questo per dire che sono rimasta molto colpita da quanto
successo in quella scuola di Modena: un padre si è reso conto che il figlio era
stato contattato da un pedofilo proprio sull'app Tiktok. Fortunatamente è intervenuto
per tempo e ha avvertito gli altri. Siccome viviamo tutti nell'epoca
delle connessioni virtuali presto questi “altri” non sono stati solo i genitori
dei compagni, ma anche NOI. La notizia ha scosso le coscienze, tanti gli
interrogativi, tante le riflessioni e come sempre tante anche le paure. La
paura può essere un’emozione che se mal gestita ci porta alla paranoia, alla sfiducia
e all’iperprotezione: tutti aspetti che ben conosciamo se ci guardiamo intorno;
ma la paura è anche un’emozione sana, ci tiene lontano dai pericoli, ci mette
in guardia e ci fa pensare a quali precauzioni possiamo prendere per affrontare
meglio le situazioni.
Penso che dobbiamo cogliere le opportunità che queste
situazioni ci danno, facciamoci delle domande: “Quali strumenti sto dando in
mano ai miei figli? Ha le mappe giuste per muoversi in questi universi virtuali?
Ho un rapporto tale con mio figlio che gli consente di venirmi a chiamare se è
in pericolo o si è messo nei guai? Ho fatto prevenzione spiegando a mio figlio
quali sono i comportamenti appropriati dell’adulto nei suoi riguardi e quali
invece non lo sono?”
Facciamoci delle domande...Spesso le domande sono più
importanti delle risposte.
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