domenica 24 novembre 2019

SINTONIZZAZIONE:come diventiamo capaci di regolare le nostre emozioni


Avete mai pensato a come abbiamo imparato a gestire le nostre emozioni?

Come siamo passati dal piangere e contorcerci urlando se qualcuno ci toglieva qualcosa che volevamo, al segnalare a parole all'altro che stavamo subendo un’ingiustizia?

Come siamo passati dall'essere sopraffatti dall'angoscia di abbandono quando nostra madre ci lasciava all'asilo, al sentirci liberi di giocare ed esplorare anche in sua assenza certi del suo ritorno?

Come abbiamo fatto a imparare che i nostri bisogni possono essere anche non soddisfatti nell'immediato, che possiamo programmare i nostri obiettivi a lungo termine?

Tutte queste importanti competenze noi le apprendiamo nella relazione. È l’essere in relazione con adulti sensibili ai nostri bisogni che ci ha reso capaci di comprendere cosa stesse accadendo in noi quando stavamo provando un’emozione. È grazie al genitore che, guardandoci negli occhi, rispecchiava la nostra emozione che abbiamo capito cosa ci stava accadendo. È lui che segnalandoci, grazie ai segnali non verbali, che si trattava di “roba nostra” e non sua ci ha consentito di “digerire” tutto il materiale emotivo così difficile da maneggiare. È così che abbiamo imparato che rabbia è diversa da paura, che è a sua volta diversa da tristezza. Chiamiamo questo tipo di relazione SINTONIZZAZIONE.

Vediamo di essere più chiari: quando madre (o padre) e bambino hanno le loro prime “conversazioni” faccia a faccia, il genitore effettua spontaneamente il rispecchiamento, ovvero imita in un certo senso il bambino enfatizzando con il tono di voce e la mimica le espressioni emotive del figlio. Questo modo spontaneo di interagire con figlio viene chiamato RISPECCHIAMENTO MARCATO, dove per “marcatura” intendiamo quei segnali non verbali che mostrano al figlio che si tratta di un suo vissuto. Mentre tutto ciò accade il genitore accompagna l’interazione con parole, ecco che pian piano il bambino acquisisce anche il linguaggio emotivo. Saper nominare un’emozione è il primo passo per poterla gestire. A volte i bambini non sanno cosa accade loro quando sono travolti dalla rabbia, è solo il fatto di poter dare un nome a questa bufera che sta per prendere il controllo li aiuta a riprendere in mano il timone.

Ma se tutto ciò è quello che facciamo tutti spontaneamente nelle prime interazioni con i nostri figli allora cos'è che può andare storto?

In realtà molte cose. Innanzitutto non è così scontato riconoscere la rilevanza di questi proto-dialoghi. Per molto tempo il neonato è stato considerato un insieme di riflessi, non un essere con così elevate competenze relazionali. Inoltre ciò che molti ancora pensano è che il neonato abbia solo bisogni di cura fisica e fisiologica mentre sappiamo quanto i suoi bisogni relazionali siano in primo piano a partire dai primi momenti. In secondo luogo, man mano che il bambino cresce, non è sempre facile rispecchiare correttamente le sue emozioni, è possibile fare confusione. A questo proposito ricordiamoci che la mente è opaca, quando cerchiamo di indovinare che emozione sta provando l’altra persona ciò che facciamo è soltanto un’ipotesi e non realtà, inoltre facilmente le emozioni che non sono state sufficientemente accolte e ascoltate nella nostra famiglia d’origine sono le stesse con cui potremmo avere più difficoltà con i nostri figli. Diventare genitori prevede sempre una rielaborazione della propria storia di relazione con i propri genitori, ovvero della propria storia di attaccamento. È proprio di questo che si occupa l’approccio del circolo della sicurezza, un programma di intervento basato sull'attaccamento per promuovere relazioni sicure .

E allora nell'epoca in cui siamo sempre connessi ma poco sintonizzati riusciremo a riappropriarci della potenza della relazione vis à vis? Occhi negli occhi.  Non dimentichiamo che a livello evoluzionistico noi siamo strutturati per funzionare in questo modo.

Nessun commento:

Posta un commento